Peculiarità Tecniche del detector In-Lens
Il detector In-Lens è un particolare rivelatore posizionato all’interno della lente obiettivo del microscopio elettronica a scansione, a differenza del tradizionale rivelatore Everhart-Thornley (E-T) che si trova nella camera del campione. L’interazione tra il fascio incidente e la superficie del campione genera molti elettroni secondari (SE), tra cui SE1, SE2 e SE3. Tra questi gli elettroni SE1 vengono generati nell’area più vicina al punto incidente, e con la minima profondità, dunque sono gli elettroni che meglio esprimono l’informazione relativa alla morfologia superficiale.
Il rivelatore In-Lens è l’unico in grado di raccogliere efficacemente i segnali SE1, poiché si trova sopra la lente obiettivo ed è coassiale con il fascio di elettroni, con diversi vantaggi:
- Raccolta selettiva degli elettroni secondari: Gli elettroni secondari, accelerati dalla lente elettrostatica verso il detector In-Lens, colpiscono lo scintillatore sulla superficie del detector producendo fotoni che vengono quindi trasmessi a un fotomoltiplicatore, il quale li amplifica e converte il segnale in un’immagine. Grazie a parametri ottimizzati del campo elettrostatico e magnetico vicino al campione e all’interno della colonna, gli elettroni secondari vengono rilevati con elevata efficienza di raccolta e con un miglior rapporto segnale/rumore.
- Miglioramento della risoluzione spaziale: Questa geometria permette una raccolta efficiente degli elettroni SE1 (generati dall’impatto del fascio primario, portatori di informazione ad alta risoluzione) e SE2 (generati dagli elettroni retrodiffusi che escono dalla superficie). Fondamentalmente, esclude quasi completamente gli elettroni SE3, che sono generati quando gli elettroni retrodiffusi colpiscono le pareti della camera o il pezzo polare della lente, lontano dal punto di analisi. Poiché gli SE3 portano informazione a bassa risoluzione, la loro esclusione migliora drasticamente la risoluzione e la sensibilità superficiale dell’immagine.
- Capacità di filtraggio delle energie: I sistemi In-Lens moderni sono spesso dotati di griglie o elettrodi a cui è possibile applicare una tensione di bias. Questo permette di filtrare gli elettroni in base alla loro energia. È possibile, ad esempio, respingere gli elettroni secondari a bassissima energia per raccogliere solo gli elettroni retrodiffusi a bassa perdita di energia (Low-Loss BSE), ottenendo così immagini con un forte contrasto composizionale (o di numero atomico Z) invece che topografico.
Fig.1 – Posizioni del rivelatore integrato nella lente (In-Lens) e del rivelatore E-T nella camera campione.
Paragone tra SEM con e senza detector In-Lens
Il confronto che segue è tra un SEM ad alte prestazioni (tipicamente con sorgente FEG) con rivelatore In-Lens e un SEM tradizionale con filamento di tungsteno e rivelatore Everhart-Thornley.
SEM con detector In-Lens (tecnologia FEG)
- Punti Positivi – Risoluzione spaziale superiore: La capacità di raccogliere selettivamente gli elettroni SE1 permette di raggiungere risoluzioni nanometriche o sub-nanometriche per l’imaging ad alta risoluzione. Prestazioni eccellenti a bassa tensione (Low-Voltage SEM): L’alta brillanza della sorgente FEG e la ridotta aberrazione cromatica, unite alla raccolta efficiente del segnale che proviene dallo strato più superficiale, consentono di ottenere immagini di alta qualità a energie molto basse (<1 keV), con minima penetrazione nel campione e ridotti effetti di caricamento. Sensibilità superficiale elevata: L’esclusione degli elettroni SE3 e la raccolta efficiente degli SE1 rendono l’immagine molto più sensibile ai primissimi nanometri della superficie del campione. Flessibilità nella resa di contrasto: La possibilità di filtrare l’energia degli elettroni rilevati permette di separare il contrasto topografico (da SE) da quello composizionale (da BSE a bassa perdita di energia), fornendo informazioni più complete.
- Punti Negativi – Costo e complessità elevati: La tecnologia FEG e i sistemi di lenti e rivelatori In-Lens sono significativamente più costosi e complessi da operare e manutenere. Requisiti di vuoto stringenti: Le sorgenti a emissione di campo, specialmente quelle fredde (CFE), richiedono un vuoto ultra-spinto per un funzionamento stabile. Corrente di fascio più bassa: Sebbene la brillanza sia molto elevata, la corrente totale è inferiore a quella ottenibile in un SEM con sorgente termoionica a tungsteno. Questo può essere uno svantaggio per analisi che richiedono un segnale molto intenso, come nel caso dell’acquisizione di mappe a raggi X.
Fig.2 – Andamento della risoluzione spaziale al variare della tensione di accelerazione per diverse tipologie di SEM. La migliore risoluzione può essere ottenuta con i SEM dotati di detector In-lens.
SEM senza detector In-Lens (Filamento di Tungsteno e rivelatore E-T)
- Punti Positivi – Costo inferiore e semplicità: Sono strumenti più economici, robusti e semplici da utilizzare, ideali per analisi di routine a ingrandimenti medio-bassi. Elevata corrente di fascio: È facile ottenere correnti di fascio elevate (fino a 1 µA), ottimali per la microanalisi a raggi X (EDS/WDS) o per l’imaging di campioni a basso contrasto a bassi ingrandimenti. Requisiti di vuoto meno stringenti: Operano in alto vuoto (tipicamente <10⁻⁴ Pa), che è più facile e veloce da raggiungere e mantenere.
- Punti Negativi – Minore risoluzione spaziale: La risoluzione è tipicamente limitata a >5-10 nm. Ciò è dovuto sia alla maggiore dimensione della punta della sorgente sia al fatto che il rivelatore E-T raccoglie un’alta percentuale di segnale a bassa risoluzione (SE3), che maschera i dettagli più fini. Scarse prestazioni a bassa tensione: La bassa brillanza della sorgente a tungsteno e la maggiore dispersione energetica causano un degrado significativo delle prestazioni a tensioni inferiori a 5 kV. Minore sensibilità superficiale: Il segnale è dato da un mix di elettroni SE1, SE2 e SE3, con questi ultimi (a bassa risoluzione) che spesso dominano, riducendo la sensibilità ai dettagli più superficiali.
Fig.3 – Immagini acquisite a 1 kV con detector E-T (a sinistra) e In-Lens (a destra) su una stessa porzione di campione: in evidenza come nell’immagine In-Lens appaiano molti più dettagli che rendono la caratterizzazione della morfologia superficiale decisamente più completa.
Esistono SEM a Tungsteno con rivelatore In-Lens sul mercato?
La tecnologia dei detector In-Lens, come ampiamente documentato, è sempre stata una caratteristica distintiva dei microscopi a emissione di campo (FE-SEM), dove è essenziale per raggiungere le massime prestazioni in termini di risoluzione. I principali produttori di SEM offrono sistemi FE-SEM dotati di rivelatori In-Lens.
Pur non essendo la combinazione di una sorgente a tungsteno con un rivelatore In-Lens una configurazione commercialmente diffusa a causa delle limitazioni intrinseche della sorgente a tungsteno, il produttore Ciqtek presenta a portfolio il modello SEM3300, l’unico sul mercato dotato di sorgente termoionica con filamento di tungsteno ed equipaggiato con detector E-T, BSE e In-Lens, in grado di superare il limite di risoluzione dei SEM a tungsteno, soprattutto alle basse tensioni, raggiungendo risoluzioni <4 nm a 3 kV e <5 nm a 1 kV.Riproduci